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Inizio questa serie
di articoli/commento sul mondo sotterraneo che tanto ci sta a cuore con
un argomento scottante e su cui tutti prima o poi si dovranno pronunciare
in modo chiaro: major si o major no? Il dibattito è molto acceso
negli States e quindi, come al solito a traino, in Italia. Mi pacerebbe
affrontare l'argomento dividendolo i due grossi capitoli:
- quello che si dice e succede fuori dall'Italia
- i fatti italiani che devono avere come premessa un minimo di storia
dei movimenti sotterranei nostrani.
Questa distinzione è dettata soprattutto dal fatto che quello che
succede qui ha ben poco a che fare con ciò che succede al di là
del Gran S. Bernardo.
In questi ultimi due anni molti gruppi di punta di grosse etichette indipendenti
hanno lasciato questa area per arrivare a contratti con majors. Questo
fenomeno è cresciuto a dismisura e negli ultimi mesi è diventato
argomento di discussioni accese su quasi tutte le fanzines americane.
La precedente grossa crisi dell'area indipendente internazionale c'era
stata nell'86/87. Quella volta erano pochi i gruppi veramente importanti
fuggiti dalla scena indipendente per le majors (Husker du, Red Hot Chili
Peppers, Replacements) e tutto sommato la crisi aveva investito quasi
soltanto le strutture commerciali e distributive. Erano falliti alcuni
grossi distributori indipendenti (Systematic, Jem ,Sound Good) e avevano
creato grosse falle nei bilanci di tutte le etichette indipendenti dalla
S.S.T. all Vinyl Communications. Questa prima crisi era stata apparentemente
superata tramite la tragica riduzione del numero delle etichette presenti
con l'irrobustimento dei distributori rimasti (Mordam) e con la nascita
di nuovi (Blacklist) che lavorano su base volontaria quindi a costi più
bassi degli altri. Molto probabilmente però la crisi era stata
risolta soltanto apparentemente, di fatto il mercato indipendente si era
di molto contratto. Molti negozi che prima vendevano dischi indipendenti
ora hanno deciso di non correre più questo rischio. Molto probabilmente
i fasti di Husker Du "Flip your wig" ('85) e Bad Brains "I
against I" ('86) sarebbero stati difficilmente ripetuti nell'89.
Piano piano si è venuta a creare una situazione tale per cui, come
ha lapidariamente definito Ian Mc Kaye, "I gruppi possono scegliere
tra essere trattati come delle merde, non prendere una lira ed avere una
pessima distribuzione (indipendenti) oppure essere trattati come delle
merde, non prendere una lira ed avere una discreta distribuzione (major)".
E' forse una visione un po' cinica ma probabilmente descrive in modo efficace
l'humus nel quale nascono certe decisioni. Se da un lato i gruppi non
sanno se scegliere la padella o la brace dall'altro la scena subisce uno
stillicidio che la depriva giorno dopo giorno dei suoi gruppi migliori
fino ad arrivare al dubbio se esista ancora qualcosa chiamato scena. Ma
la discussione non riguarda soltanto le vendite. Quando ci si chiede perché
siamo qui? ci si rende conto che in realtà una major non ha nulla
a che fare con le motivazioni ultime per cui molte persone hanno scelto
di essere parte attiva di una scena suonando, scrivendo o in mille altri
modi. Avremmo potuto tutti quanti fare altre scelte, fare una vita più
comoda e rilassata e il più vuota possibile (come da istruzioni
ricevute). Sul numero 110 di Maximumrocknroll Samuel Nathan Schiffman
con un articolo intitolato appunto "Nirvanafication" apre un
interessantissimo dibattito proprio su questo argomento. Sono sostanzialmente
due le ipotesi che egli cerca di dimostrare:
- il successo dei Nirvana è l'attacco più devastante che
il mondo musicale sotterraneo abbia mai ricevuto e il danno passa proprio
attraverso la mercificazione e l'assorbimento da parte del mercato di
atteggiamenti di ribellione esteriore. E' brillantissima l'immagine da
lui evocata di schiere di impiegati della city in Doc Martens, giubbotto
di cuoio e capelli sparati
-le majors sono puri meccanismi di produzione di denaro per cui i soldi
che la D.G.C. ha guadagnato coi Nirvana vengono investiti nella produzione
di gruppi clonati da Kurt Cobain, nella migliore delle ipotesi, sennò
addirittura in industria bellica, dato che alcune majors sono soltanto
un piccolo pezzo di grosse holdings che vanno dai dischi a missili intercontinentali.
Probabilmente questa nuova discussione che si sta aprendo significa qualcosa.
Si incomincia ad introdurre una nuova variabile. Non conta più
soltanto quanto si vende ma anche come si vende. In realtà il come
è una variabile che etichette come la Dischord non hanno mai trascurato.
Purtroppo etichette di questo tenore si sono sempre contate sulle dita
di un mano. Siamo finalmente giunti al solito bivio tra qualità
e quantità. Non ha molto senso ostracizzare nessuno, ognuno ha
le sue buone regioni per fare quello che fa. Sarebbe molto bello invece
vedere coloro che seguono questo piccolo mondo di musicisti scalmanati
prendere finalmente in mano la situazione: smettere di seguire supinamente/stupidamente
le mode del momento, ma anche smetterla di criticare e basta. Chi non
ama questa situazione può intervenire sul reale in un sacco di
modi: suonare, fare fanzines, organizzare concerti e far uscire dischi
e cassette. Chi non vive bene in questa realtà può crearsene
una sua. Cosa aspetti?
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